Leggiamo insieme: I Mille di Angiolo Silvio Novaro
A levante di Genova è una villa
nascosta negli aranci.
Qui, tra l’ombre appiattato,
come un ladro in agguato,
l’eroe attese. E vennero a drappelli,
cauti, furtivi, con taciti lanci,
intorno a lui nell’alberata fossa;
e tutti aveano la camicia rossa,
e tutti erano belli.
E giovinetti: da città e da monti
scesi, da tutte bande;
lasciando nelle case le fanciulle,
le madri, i vecchi tremuli e le culle,
portando in fondo al cuore
il sogno d’una Italia ottima e grande
e una sete di vincere infinita:
sdegnosi d’ogni umano bene, pronti
a donare la vita
come si dona un fiore.
Erano mille appena
i giovinetti araldi
della fortuna italica nascente:
mille contro un esercito potente
armato di cannoni,
mille inermi… che importa?
Avevano un coraggio da leoni,
era con loro l’anima risorta
dei martiri sepolti, e la serena
forza di Garibaldi!
Notte odorosa e tiepida di maggio
bella come nessuna!
In mezzo al cielo nitida e rotonda
campeggiava la luna.
Sotto il soave raggio
con Garibaldi scesero dalla sponda;
e laggiù, fremebondi come schiavi
in catene, battean le carabine
contro la roccia risonante. E alfine
ebbero le due navi.
E salpavano. E via per le tranquille
serenità, sotto la bianca luna,
incontro alla fortuna
nuova d’Italia! I Mille
sulla tolda dormivano supini.
Solo, in cima al ponte,
avvolto nel mantello, con la fronte
immersa in un oceano di luce,
con in pugno gl’italici destini,
vegliava ritto il Duce.
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