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Channel: I testi della tradizione di Filastrocche.it
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C’era una volta la noia, ora non c’è più

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Ovvero Gec lo Scartatore scopre i libri

Parole in punta di piedi, parole sussurrate, parole accoccolate come dolci marmellate, parole alte, parole basse, parole grasse e magre, parole con le calze e con gli stivaloni, parole che da sole non dicon niente ma in compagnia portano allegria, parole rilegate, parole abbandonate tra le righe, parole legate in armonia, parole di poesia.

Gec lo Scartatore le aveva trovate un giorno lungo la via Maiuscola, fuori dal sacco nero abbandonate al loro destino. Nessuno le aveva notate, solo lui le aveva viste: alcune erano stropicciate, altre strappate, altre ancora erano inumidite dal passaggio di qualche gatto. Affiancando il marciapiede col furgoncino, Gec studiava il modo migliore per raccogliere tutte quelle parole sparse sull’asfalto.
Come raccattava la carta Peppino Lascopa, per i colleghi Gec lo Scartatore, non lo faceva nessuno: l’occhio che guardava dritto lo chiudeva, mentre con quello che guardava verso sinistra, prendeva la mira, poi con un ghignetto beffardo: “Oplà” gridava contento pensando di averlo bucato, poco dopo vedendo che non lo aveva nemmeno sfiorato, continuava a pungerlo finché riusciva ad infilzarlo sena pietà.
Quella volta però non aveva infierito. Aveva guardato tutte quelle parole con una certa prudenza, perché non capiva come mai fossero state buttate via in quel modo. Dopo essersi guardato attorno, le raccolse per benino e le appoggiò nel suo cappello da cow-boy, finito il giro di pulizia se ne tornò a casa.
− Lizzi, Lizzi! Accidenti Lizzi muoviti! – urlò Gec, appoggiando sul tavolo il cappello.
La sorella gemella non amava molto essere disturbata mentre guardava la televisione, soprattutto se stava sospirando per qualche storia d’amore.
− Senti fratellone, non ho tempo da perdere, quindi passami quelle… quelle parole che le metto al fresco, così si mantengono e possiamo utilizzarle al bisogno − gli rispose, mentre con un occhio guardava la televisione e con l’altro cercava la maniglia del freezer.
− Forse non è proprio il posto giusto, io pensavo di metterle in cantina, magari vicino alla damigiana – disse Gec un po’ preoccupato.
− Scherzi, c’è il rischio di trovarle sbronze come ciucchini. No no, a questo punto è meglio metterle sul trespolo vicino al pappagallo. Almeno quel chiacchierone non si lamenterà più di non aver compagnia e sicuramente sarà contento di imparare nuove parole − concluse bruscamente Lizzi, sapendo che stava per terminare il suo film preferito.
Gec si convinse e passò a Lizzi il cappello, ma una manovra brusca gli fece perdere il controllo e tutte le parole finirono per terra.
− Sei il solito disastro − disse spazientita Lizzi – Tu non sai quanto soffro … − continuò gemendo.
− Soffri? – chiese meravigliato Gec.
− Sì, soffro. Per non poter guardare in pace il film! – gli rispose sgarbatamente, fermandosi ad un palmo del suo naso.
Gec in verità non era tipo da lasciarsi intimorire, tuttavia non rispose e andò a prendere scopa e paletta, sperando di pulire in fretta e godersi un gioco con la play. Quando tornò sul luogo del disastro rimase letteralmente a bocca aperta.
− Lizzi, Lizzi, corri!
− Cooosa c’è!! – sbottò la sorella appoggiando il telecomando.
Le parole stavano volando in ogni angolo della casa, salivano verso il soffitto, volteggiavano, ridiscendevano, poi come nuvole leggere si appoggiavano sulle tende e al minimo alito si risollevavano per poi riprendere il girotondo. Come farfalle gioiose si muovevano silenziose nell’aria, e Gec, imitando la vispa Teresa, le rincorreva goffamente con un colapasta, Lizzi invece prese un panno e cominciò a correre di qua e di là cercando di schiacciarle, proprio come si fa con le zanzare.
Ma nessuno dei due riuscì a prenderle.
− Accidenti fratello – disse sconsolata Lizzi sprofondando nel divano − se non facciamo qualcosa, queste ci annoieranno per un bel po’, dovremo trascorrere tutto il nostro tempo libero a rincorrerle e, diciamocelo chiaramente, non sarà più vita! Niente televisione, niente riposo, niente di niente!
− Questa volta Lizzi ha ragione, se non troviamo il modo di acciuffarle, queste andranno in giro e chissà cosa potrebbe accadere…− pensò Gec mentre chiudeva per bene le finestre.
− Caldo! Caldo! Aprire le finestre! Aprire le finestre! − il pappagallo si era finalmente svegliato e cercando di farsi notare riuscì a spaventare le parole che si alzarono velocemente e si diressero verso l’ultima finestra rimasta aperta.
Gec non si lasciò scappare l’occasione e, come i pescatori lanciano la rete, lui fece altrettanto con la tenda, ma proprio in quel momento Lizzi si alzò dal divano e involontariamente fece uno sgambetto al fratello che finì dritto dritto a terra rimanendo col naso spiaccicato nel vasetto della crema al cioccolato.
− Non è ancora finita! – urlò con aria di sfida Gec, mentre le prigioniere si appollaiavano beatamente sul ramo del melo in giardino.
− Adesso le frego io quelle mocciose, petulanti, fedifraghe, fuggiasche da quattro soldi…− E pensando ad un’imboscata si staccò il vasetto dal naso.
Piano piano affettò del pane, piano piano vi spalmò la crema al cioccolato e piano piano si avvicinò alla finestra.
− Parolineee! – disse amorevolmente – Venite dal vostro Gecchino… -.
Dopo aver dato una bella leccata al dolce, Gec allungò la mano fuori dalla finestra, sorrise beffardamente pensando già alla vittoria, quando… ZAC! Il gatto del vicino gli portò via l’esca in un sol boccone.
− Fratellone non ce la puoi fare sono troppo intelligenti, sono furbe come delle volpi, sono scaltre come chi non paga le tasse. No, non ce la farai mai! Molla tutto! – infierì Lizzi scuotendo la testa.
Anche questa volta aveva ragione Lizzi. E a Gec non rimase altro che sedersi, mogio mogio, vicino al pappagallo.
− Freddo! Freddo! Chiudere le finestre! Chiudere le finestre!
− Piantala pennuto pettegolo!− sbuffò Lizzi lanciandogli un quaderno.
− Ahi ! Male! Male! Chiudere il quaderno! Chiudere il quaderno! -.
Il quaderno rimase a terra aperto con le pagine che giravano rumorosamente ogni qualvolta un refolo di vento entrava indisturbato in casa.
Le parole, infreddolite dalla serata autunnale, si appoggiarono al davanzale e guardando timorose le ombre nella casa, viaggiarono veloci verso quel quaderno che le accolse con un lungo sospiro e poi si chiuse.
− Freddo! Freddo! Chiudere le finestre! Chiudere le finestre −, Lizzi era già pronta con una ciabatta per zittire il pappagallo quando, chinandosi, vide l’ultima parola intrufolarsi nel quaderno.
− Roba da matti! Gec! Gec! Vieni a vedere! Non riesco a credere ai miei occhi! Magia delle parole! − disse meravigliata, mentre il pappagallo cercava di girare i fogli col becco.
Le frasi che si riuscirono a leggere erano un tantino irriverenti ma divertenti:
• I mutandoni del presidente sono scappati per il gran rumore;
• la sarta Matilda che mangia poltaglia e raccoglie brodaglia alla fine poi raglia andando in battaglia
e via così, una frase dopo l’altra, una triste e una allegra, fino all’ultima pagina del quaderno.
I fratelli gemelli si divertirono un mondo a leggerli e rimasero lì fino al mattino.
− Fratellone − sussurrò imbarazzata Lizzi − cosa dici se andassimo in uno di quei posti dove ci sono i libri, sai quella specie di parcheggio per libri… -
− Si può fare, mi pare che si chiami bi-bli-o-te-ca il parcheggio che dici tu! − confermò Gec.
E così fecero. Ogni mercoledì e sabato, terminato il giro di pulizia, Gec, Lizzi e il pappagallo sarebbero andati un po’ in biblioteca e un po’ in libreria, si sarebbero portati una borsa che avrebbero riempito di libri piccoli, grossi, libri colorati e cartonati, libri di avventura e di magia, ormai certi che le parole scritte avrebbero tenuto loro sempre compagnia.

C’era una volta la noia, ora non c’è più è uno dei tantissimi contenuti che puoi trovare su Filastrocche.it


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