Oh! Muto Tempio
Arcano Monumento
Da pietre antiche
Di antica terra eretto;
Dall’alto del Monte
Fin sulle valli in basso,
Fin dove lo sguardo
Non coglie più visione
Su tutto domini e contempli.
Di Tua novella m’è giunta eco
Mi ha preso il corpo e l’anima
I miei passi ha mosso
Per condurmi al Tuo cospetto
Senza che potessi oppormi
Smaniavo, anzi, di partire
La Ragione ormai spenta
Attratto alla mia meta
Come falena alla luce
Che ignara del suo agire
E’ obbligata al suo destino.
A Te son venuto, quindi,
Assecondando il mio;
Ho scalato ripidi sentieri
Attraverso il fitto bosco,
Senza temerne le oscure tenebre;
Ho squarciato le spire di mille rovi
Che invano si son poste
Ad intralciare il mio cammino
Avvolgendosi come tentacoli
Ai polsi e alle caviglie.
A Te son giunto, infine
Con le vesti lacere
E graffi sulle membra,
Madide di sudore.
Dinanzi alle tue vestigia
In ginocchio son caduto,
Il capo reclino, il mento sfiora il petto:
Potente su di me
Incuti soggezione.
Avverto l’enorme Tua saggezza,
L’incalcolabile sequenza d’esperienze
maturate in millenni d’esistenza
Sedimentate tra le pieghe della Tua materia
Giacchè Testimone sei di Storia
E di storie umane custode,
Di noi insignificanti mortali
Che al tuo paragone
Duriamo il tempo d’un respiro.
E all’improvviso mi si stringe il cuore
Mi sento così piccolo, indifeso,
Come un granello di sabbia in balia del vento.
Quante cose vorrei chiederti,
Se solo Tu parlassi!
Ma Tu parli, invece, con le Tue silenziose pietre!
Ed io, stolto, non so comprendere il Tuo linguaggio.
Ora lo so che sei testimonianza
Di un tempo che fu, che non tornerà,
Di un tempo ancora bambino,
Non ancora corrotto
E perso nei recessi cronologici.
Ora lo so che sei eredità
Di antichissimi Avi, di remote Genti
Avviluppate in un alone di mistero
Non più selvagge ma ancora acerbe
Mosse però dall’Armonia dei cicli vitali
Dal religioso rispetto di Madre Natura
Ma ormai estinte e sconosciute per sempre.
Ora so di tutto questo
E non posso che avvilirmi
Ripensando a quel che ormai
Da tempo m’ è già noto:
Che di Te, purtroppo, non c’è più memoria
Di quel che fosti e che sarai per sempre.
Perduto è il tuo ricordo
Alla maggioranza di noi posteri
Di noi distratta progenie,
Di diverso spirito, di diversa fede
A cui non parli più, né più servi.
Perso
Ti sanno riconoscere
Osservandoti nel profondo
Oltre la nuda roccia.
Ed ora, qui davanti a Te,
Sono ancora prono.
Mi concedi di toccarti
Con i palmi delle mani,
Le braccia levate in alto,
Protese su di Te
E di poggiar la fronte
Sulla Tua superficie litica
Levigata dal tempo
E dalla furia degli elementi.
E così mi immagino, in cotal postura,
Come antico pagano ai piedi di un’ara
Invocando grazia ad arcaiche divinità.
Ed infatti il prodigio si compie
Percepisco la Tua energia interiore
Con tenue vibrazione si manifesta
Solleticandomi la cute
Laddove ti lambisce;
E d’un tratto si riversa in me,
Per un attimo son frastornato
Mentre un fremito mi attraversa
Ed i sensi son confusi.
Poi tutto finisce in un batter di ciglia
Così com’è cominciato.
Mi rialzo in piedi, ancora sbigottito,
Ma è solo per un momento,
Quanto basta per riavermi
E di colpo mi sovvengo,
Proprio in questo istante,
che di nuovo son tornato
Padrone di me stesso.
Finalmente libero
Con Te non ho più vincoli.
Ma sento ora in me
Una consapevolezza tutta nuova,
Questo, dunque, è il dono
Che per me avevi in serbo,
Di farmi riscoprire
Chi veramente sono
Attraverso la conoscenza
Di tutto il mio passato,
Di chi mi ha preceduto e delle sue azioni,
Quelle buone e quelle cattive.
Perché altro non sono
Che la summa dei vissuti
Di miriadi di persone
Susseguitesi nel tempo
sin dagli albori.
Sono il prodotto finale
Di mille storie millenarie,
Di tutti i miei avi
Son l’erede universale.
Ognuno di loro ha contribuito
A far di me quel che oggi sono.
Ognuno di loro vive in me
E vivrà ancora
Per mezzo dei miei figli
Ed i figli dei miei figli,
Finché Tempo e Fato lo vorranno.
Solo ora posso tracciare
Un percorso sicuro
Lungo il quale vivere il presente
Con animo più sereno
E gettare uno sguardo al futuro
Con rosea speranza.
Per l’uomo non c’è progresso
Quando nega il suo passato
Dimenticando chi era il padre
Ed il padre di suo padre.
Avanzando nel suo percorso
Dovrà pur voltarsi indietro
A riguardar i passati eventi,
Come a voler rivedere
Un vecchio lungometraggio;
Tanti insegnamenti ne può trarre
Onde evitare il ripetersi degli errori
Mentre procede la scrittura
Del libro di sua storia.
Questa, dunque, la lezione
Che Tu, preistorico Tempio,
Hai voluto tramandarci.
Per me è grande onore
Esserne l’indegno latore.
Immensamente Ti ringrazio
Per il prezioso dono.
Riverente m’inchino
volgendo il mio saluto.
Ti lascio alla Tua pace
E prendo infin commiato.
Un’ultimo sguardo Ti rivolgo
Appressandomi al ritorno
Quindi m’accingo all’arduo compito
Conscio del suo peso.
E’ il vero senso del tuo esistere
Che a stento sopravvive
Quale flebile traccia di un antico sapere
Nei miti e nelle leggende
E nei racconti popolari;
Ormai financo le tue origine
Sono attribuite al caso,
Frutto dei capricci di natura
Erroneamente ritenute,
Non riconoscendo in Te
Ingegno umano alcuno.
Solo pochi illuminati
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