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Channel: I testi della tradizione di Filastrocche.it
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Granchio

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Granchio

Nelle pozze della bassa marea
mi acquatto quieto come una compatta
scatola degli attrezzi.

Ma quando sale la marea io fuggo
danzando sulle punte – tiptap tip –
tra uno svolio di veli.

E poi con le mie pinze piroetto
meglio del ballerino più perfetto
e indifferente i cavalloni infrango
improvvisando un tango.

 

 

 


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Il Re Travicello

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Re Travicello

Leggiamo insieme: Il Re Travicello di Giuseppe Giusti

Al Re Travicello
piovuto ai ranocchi,
mi levo il cappello
e piego i ginocchi:
lo predico anch’io
cascato da Dio:
oh comodo, oh bello
un Re Travicello!

Calò nel suo regno
con molto fracasso;
le teste di legno
fan sempre del chiasso:
ma subito tacque,
e, al sommo dell’acque,
rimase un corbello:
il Re Travicello.

Da tutto il pantano,
veduto quel coso:
“È questo il Sovrano
così rumoroso?”
s’udì gracidare.
“Per farsi fischiare
fa tanto bordello
un Re Travicello?

Un tronco piallato
avrà la corona?
O Giove ha sbagliato,
oppur ci minchiona:
sia dato lo sfratto
al Re mentecatto,
si mandi in appello
il Re Travicello”.

Tacete, tacete;
lasciate il reame,
o bestie che siete,
a un Re di legname.
Non tira a pelare,
vi lascia cantare,
non apre macello
un Re Travicello.

Là là per la reggia
dal vento portato,
tentenna, galleggia,
e mai dello Stato
non pesca nel fondo:
che scienza di mondo!
che Re di cervello
è un Re Travicello!

Se, a caso, s’adopra
d’intingere il capo,
vedete? di sopra
lo porta daccapo
la sua leggerezza.
Chiamatelo Altezza,
ché torna a capello
a un Re Travicello.

Volete il serpente
che il sonno vi scuota?
Dormite contente
costì nella mota,
o bestie impotenti:
per chi non ha denti,
è fatto a pennello
un Re Travicello!

Un popolo pieno
di tante fortune,
può farne di meno
del senso comune.
Che popolo ammodo,
che Principe sodo,
che santo modello
un Re Travicello!

 

Nota:
“Re Travicello” in lingua italiana è un’espressione idiomatica. Indica una persona che occupa una posizione importante o una carica ufficiale, ma che non ha autorità o capacità sufficienti a esercitarne il potere. È usata in senso dispregiativo.

 

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Il falco e il gallo

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falco e il gallo

Leggiamo insieme: Il falco e il gallo di Giacomo Zanella

Sotto le nubi altissimo si gira
con lenta rota il falco; e la gallina
che del grifagno l’animo indovina,
sotto la siepe i pargoli ritira.

Ma sull’entrata pien d’orgogli e d’ira
piantasi il gallo, e lui che s’avvicina
di sangue desioso e di rapina
con erto collo e fermo ciglio mira.

Quasi cala come folgore; d’un salto
questi il respinge e de’ ricurvi artigli
pie’ e rostro oppone all’iterato assalto.

Ma l’unghiato la pugna ecco abbandona:
con gli sproni di sangue ancor vermigli,
l’altro il peana del trionfo intuona.

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Lavorare stanca

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Lavorare stanca

Leggiamo insieme: Lavorare stanca di Cesare Pavese

Traversare una strada per scappare di casa
lo fa solo un ragazzo, ma quest’uomo che gira
tutto il giorno le strade, non è più un ragazzo
e non scappa di casa.

Ci sono d’estate
pomeriggi che fino le piazze son vuote, distese
sotto il sole che sta per calare, e quest’uomo, che giunge
per un viale d’inutili piante, si ferma.
Val la pena esser solo, per essere sempre più solo?
Solamente girarle, le piazze e le strade
sono vuote. Bisogna fermare una donna
e parlarle e deciderla a vivere insieme.
Altrimenti, uno parla da solo. È per questo che a volte
c’è lo sbronzo notturno che attacca discorsi
e racconta i progetti di tutta la vita.

Non è certo attendendo nella piazza deserta
che s’incontra qualcuno, ma chi gira le strade
si sofferma ogni tanto. Se fossero in due,
anche andando per strada, la casa sarebbe
dove c’è quella donna e varrebbe la pena.
Nella notte la piazza ritorna deserta
e quest’uomo, che passa, non vede le case
tra le inutili luci, non leva più gli occhi:
sente solo il selciato, che han fatto altri uomini
dalle mani indurite, come sono le sue.
Non è giusto restare sulla piazza deserta.
Ci sarà certamente quella donna per strada
che, pregata, vorrebbe dar mano alla casa.

 

Cenni su: Lavorare stanca
Nella poesia Cesare Pavese esprime il suo desiderio di avere qualcuno accanto con cui condividere il cammino. Cerca una donna per le piazze deserte. Ma il poeta teme che l’uomo contemporaneo sia destinato alla solitudine.
Il disagio di vivere caratterizza la sua esistenza e lo conduce a quello che egli stesso chiama il “vizio assurdo”, la voglia di suicidio.

 

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Il gatto dei misteri

L’avventura del paguro

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Sulla spiaggia c’è un paguro
che ha paura dello scuro.
Non gli piace il mare blu
e detesta scender giù.

Vive sempre rannicchiato
risucchiato nel suo guscio.
Finché un giorno bussa all’uscio
una splendida pagura:
il paguro s’innamora
e comincia l’avventura.

Lui la prende per le chele
lei lo porta in fondo al mare.
Quando arriva sul fondale
il paguro innamorato
pensa: “Veramente niente male!”
ci rimane e non risale.

Fortunato quel paguro!
Arrivata la pagura
gli è sparita la paura.

 


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Parole di gufi

La zanzara


Filastrocca dell’aria

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Filastrocca dell'aria
Tanta gente se lo chiede
l’aria c’è ma non si vede?

Chi fa volare gli aquiloni
dona al mare i cavalloni
muove le pale dei mulini
e le chiome dei bambini?

L’aria gioca e si fa vento
triste con l’inquinamento
che la sporca, la fa scura
che fa male alla natura.

L’aria gioca e va veloce
porta in giro la tua voce
fa suonare gli strumenti
ondeggiar foglie cadenti.

Ma la cosa straordinaria
è che vivi grazie all’aria.

Testo di Giuseppe Bordi

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La papera e la gatta

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La papera e la gattaLa papera nel fosso
nuotava a più non posso,
come se fosse niente
controcorrente,
assieme ai paperini,
che le stavan vicini.

Una micia siamese,
vedendola, cortese:
le disse: “Come fai
a startene in ammollo
con l’acqua fino al collo?

Io non lo faccio mai,
il cimurro è in agguato.
Sto meglio qua nel prato
a cacciar topolini
o a schiacciar pisolini.”

La papera rispose:
“Non dirmi queste cose.
Perchè ti meravigli?
Se tu possiedi artigli,
io ho due zampr palmate
per il nuoto approntate.”

“Sì – fece la micina –
in acqua sei carina
perchè nessuno vede
Ma quando vieni fuori,
tra sciaguattii e clamori,

assieme ai tuoi rampolli,
con quelle pinne gialle,
non sto a contarti balle,
fai ridere anche i polli.”

 

 

 

 


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Fine d’estate

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Fine d'estateCome agosto finisce, la mattina
dopo una notte di pioggia si sente
(il cielo è più profondo) che l’autunno
sta per venire; ci si guarda intorno
e non si sa che fare: tutto
è fresco, rinnovato da uno smalto
malinconico di perplessità!

Allora si gironzola, si sta zitti,
sappiamo che c’è tempo, ma che pure
l’anno dovrà morire, ed il bel cielo,
il verde verniciato delle piante,
il rosso delle ruote ad asciugare,
l’incudine che suona di lontano,
lento cuore del giorno, tutto parla
d’una partenza prossima, un addio.

La memoria è una strada che si perde
e si ritrova dopo un’ansia breve,
tranquilla: già nel sole di settembre
scottante sulla schiena è un’altra estate,
che le vespe ronzando sulle ceste
dell’uva bianca indorano, e si mischia
al loro volo il rumore nascosto
e perenne del grano che ventila
un vecchio attento e polveroso.

 

 

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Distrazione

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Distrazione

Leggiamo insieme: Distrazione di Lina Schwarz

“Rita, è buio! Perché mai
tutt’a un tratto ha spento il lume?”.

“Ma, piccino, che cos’hai?
Non lo vedi? Il lume è qui!”.

“Ha ragione! Oh, scusi, scusi,
è che avevo gli occhi chiusi!”.

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I pastori

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pastori

Leggiamo insieme: I pastori di Gabriele D’Annunzio

Settembre, andiamo. È tempo di migrare.
Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all’Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.

Han bevuto profondamente ai fonti
alpestri, che sapor d’acqua natia
rimanga ne’ cuori esuli a conforto
che lungo illuda la lor sete in via.
Rinnovato hanno verga d’avellano.

E vanno pel tratturo antico al piano,
quasi per un erbal fiume silente
su le vestigia degli antichi padri.
O voce di colui che primamente
conosce il tremolar della marina!

Ora lungh’esso il litoral cammina
la greggia. Senza mutamento è l’aria.
Il sole imbionda sì la viva lana
che quasi dalla sabbia non divaria.
Isciaquìo, calpestìo, dolci rumori.

Ah, perché non son io co’ miei pastori?

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Non vivere su questa terra come un inquilino

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Non vivere su questa terra come un inquilino

Leggiamo insieme: Non vivere su questa terra come un inquilino di Nazim Hikmet

Ragazzo mio,
io non ho paura di morire.
Tuttavia, ogni tanto
mentre lavoro
nella solitudine della notte,
ho un sussulto nel cuore,
saziarsi della vita, figlio mio,
è impossibile.

Non vivere su questa terra
come un inquilino,
o come un villeggiante stagionale.
Vivi in questo mondo
come se fosse la casa di tuo padre.

Credi al grano,
alla terra, al mare,
ma prima di tutto ama l’uomo.
Ama la nuvola,
il libro
la macchina,
ma prima di tutto
l’uomo.

Senti in fondo al tuo cuore
il dolore del ramo che secca,
del pianeta che si spegne,
della bestia ferita,
ma prima di tutto
il dolore dell’uomo.

Godi di tutti i beni terrestri,
del sole,
della pioggia
e della neve,
dell’inverno e dell’estate,
del buio e della luce,
ma prima di tutto
godi dell’uomo.

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La credenza

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credenza

Leggiamo insieme: La credenza di Arthur Rimbaud

È un’ampia credenza scolpita; la quercia scura,
molto antica, ha preso l’aspetto bonario dei vecchi;
la credenza è aperta, e versa nella sua ombra
come un fiotto di vecchio vino, profumi allettanti;

pienissima, è un emporio di vecchie cose vecchie,
panni gialli e odorosi, cenci
di donne e bambini, merletti avvizziti,
scialli da nonna con grifi dipinti;

– Lì potresti trovare medaglioni, ciocche
di capelli bianchi o biondi, i ritratti, fiori secchi
il cui profumo si mescola a quello della frutta.

– Credenza d’altri tempi, tu ne sai di storie,
e vorresti raccontare i tuoi racconti, e gemi
quando lentamente si aprono, le tue grandi porte nere.

 

Per leggere la versione originale in francese di “La credenza” clicca qui: Le buffet

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Le buffet

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buffet

C’est un large buffet sculpté ; le chêne sombre,
Très vieux, a pris cet air si bon des vieilles gens;
Le buffet est ouvert, et verse dans son ombre
Comme un flot de vin vieux, des parfums engageants;

Tout plein, c’est un fouillis de vieilles vieilleries,
De linges odorants et jaunes, de chiffons
De femmes ou d’enfants, de dentelles flétries,
De fichus de grand-mère où sont peints des griffons;

– C’est là qu’on trouverait les médaillons, les mèches
De cheveux blancs ou blonds, les portraits, les fleurs sèches
Dont le parfum se mêle à des parfums de fruits.

– O buffet du vieux temps, tu sais bien des histoires,
Et tu voudrais conter tes contes, et tu bruis
Quand s’ouvrent lentement tes grandes portes noires.

 

Pour lire la version italienne de “Le buffet” cliquez ici: La credenza

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Un’altra estate sta per finire

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Un'altra estate sta per finireUn’altra estate sta per finire
più non è tempo di stare a dormire,
più non è tempo di bighellonare,
dobbiamo metterci di nuovo a studiare!

La scuola presto riaprirà i battenti
per tanti tanti tanti studenti
di ogni ordine, di ogni grado
ed anche io che a scuola ci vado,
sto già pensando allo zainetto
e a tutto quello che poi ci metto!

 

 

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